La prima volta che notai uno dei tanti foglietti che si trovano in giro per la città, abitavo a Schöneweide e si cercavano testimoni di un incidente stradale. La cosa mi colpì. Non mi sarei mai immaginata la stessa cosa nella mia città d’origine, dove si temerebbe di trovarsi a testimoniare contro qualcuno che sarebbe meglio non avercelo contro, che sarebbe meglio non averci proprio nulla a che fare. Ai semafori si trovano spesso annunci, chi cerca casa e chiede alla gente del quartiere un aiuto, o chi si offre per un lavoro o per ristrutturare casa. I berlinesi sono però noti per il loro modo ironico e rude di dire le cose, ed ecco che si trovano spesso in giro anche biglietti un poco irriverenti. Da questa usanza di comunicare tramite “pizzini” è nato nel 2010 il Blog Notes of Berlin, il quale grazie al contributo dei lettori, raccoglie le foto di queste notes in giro per la capitale. Come ogni Blog, anche qui troviamo varie categorie: amore Tiger dammi ancora una Possibilità! – Winnie Pooh Furto Rimettono qui. Ieri è stato rubato il monopattino ad un bambino. Chi fa una cosa del genere?? Si vergogni! Androne di casa, in genere sono minacce alla DHL che non recapita i pacchi o ai vicini troppo chiassosi. Uno dei miei preferiti è l’avviso a non mettere pubblicità nella buca delle lettere, Hab’ kein Geld und kaufe nichts, non ho soldi e non compro nulla. Adbusting, sono modifiche ai cartelloni pubblicitari o insegne. Il mio preferito? Arrivati ad Adlershof si vede una scritta, che è stata modificata in maniera magistrale In culo (nel senso di in culo al mondo). Purtroppo. E non è un fotomontaggio! si vedono le aste delle lettere mancanti. Spero domani di vedere la seconda versione al mio arrivo. E ancora le categorie to go, Kinder (in genere annunci di pupazzi smarriti con tanto di disegno) etc. Da questo Blog è nata l’idea di un film, che raccoglie anche idee, foto, video e racconti come fonte di ispirazione. Tale film dovrebbe raccogliere tanti episodi da formare un giorno normale a Berlino, un giorno raccontato attraverso le storie e i personaggi che si celano dietro le notes. Il film è ancora alle prime fasi, devono ancora essere raccolti i fondi e attualmente si cerca il cast. Si prevede di presentarlo alla Berlinale del 2016. La cosa veramente interessante è che, tramite queste notes ci si fa un’idea della varietà e diversità dei quartieri. Alcuni temi predominano in alcuni quartieri piuttosto che in altri e anche la quantità varia: Steglitz occupa solo 3 pagine del Blog, contro le 56 di Kreuzberg. È interessante e divertente vedere come questa città comunica attraverso queste notes e si scopre spesso un senso dell’humor che mai si sarebbe attribuito ai tedeschi.
Archivio mensile:gennaio 2015
10 fermate
Tra casa e il lavoro ci sono 10 fermate. 10 Fermate lunghe un’ora. Prendo al s1 a Feuerbachstraße per scendere un’ora dopo dalla s45 ad Adlershof.
Berlino é immensa. Il problema piú grande di Berlino o forse la cosa che più mi disturba è l’immensità di questa città.
A Palermo sarebbe praticamente impensabile lavorare ad un’ora di strada (senza traffico) da casa. Cioé significherebbe andare a lavorare ben oltre Cefalù. Vabbè a Palermo sarebbe pure impensabile vendere l’auto e spostarsi coi mezzi pubblici.
E invece a Berlino in un’ora rimani all’interno della stessa città. È normale impiegare un’ora per arrivare al lavoro. È normale impiegare almeno un’ora per arrivare in qualsiasi punto della città.
Berlino è nata come unione di altre cittè più piccole e questa struttura continua a mantenerla. Per questo motivo non esiste un centro. Il centro é quello del Bezirk (quartiere) in cui vivi. Quando abitavamo a Schöneweide eravamo fottuti, perché il centro di Schöneweide faceva schifo, e quindi per spostarci, anche solo per fare una passeggiata, dovevamo cosinderare almeno un’ora di viaggio ad andare ed una a tornare. In inverno ci passava la voglia, in estate progettavamo di cambiare quartiere.
Il centro per me è oggi Schlossstraße. In quello che i turisti reputano centro, ovvero il quartiere di Mitte, quello con la porta di Brandeburgo etc, non andiamo mai, non ne sentiamo affatto la necessità. Capita di tanto in tanto di passarci e di scoprire un palazzo nuovo, un vuoto al posto di un’altro ormai demolito e nuovi cantieri. Per il resto Mitte non é per noi interessante. Chi abita a Kreuzberg vi dirá che il centro é Bergamnnstraße o il Kotti. Chi abita a Schöneberg vi dirá che il centro è Akazienstraße o non saprei cosa altro, io mica abito a Schöneberg, che no so?!
E così via.
In un’ora di sbahn per andare al lavoro, attraverso Steglitz, Schöneberg- Tempelhof, Neukölln, Treptow-Köpenick. Ad ogni fermata l’aspetto dei passeggeri cambia. Il cambiamento più evidente si ha tra la fermata di Neukölln e Hermannstraße, dove la maggior parte dei passeggeri parla turco, le donne sono velate e di biondi se ne contano appena, io mi mimetizzo benissimo.
Se nelle prime fermate la gente sembra essere benestante (abito evidentemente nel quartiere sbagliato) questo benessere sembra diminuire man mano che mi avvicino ad Adlershof, dove scendono solo studenti e disperati come me che vanno alla Luftwaffe.
Il treno che però percorro per 10 fermate non termina ad Adlershof, va oltre, verso Schönefeld, il vecchio aeroporto DDR e il futuro Willy Brandt che non si sa quanto lontano sarà ancora questo futuro, di certo ci é costato un sindaco.
I passeggeri che incontro all’andata, sono in realtá di ritorno da una vacanza (il più delle volte) e sono un po’ mogi, parlano poco, sembrano tristi che la vacanza sia finita. Durante il viaggio di ritorno invece, loro sono appena arrivati e sono tutti euforici, e con tanta voglia di attaccar bottone; cartina alla mano cercano di chiedere indicazioni in un inglese a volte poco improbabile. Io cerco di leggere il nome sulla cartina o sulla guida che stringono in mano e sfogliano nervosamente (ma dove siamo finiti?). Se alla fine leggo una O, la O di BerlinO, allora attacco bottone.
Ho appena finito di lavorare, sono stanca di tutto questo tedesco e delle stesse conversazioni ripetute all’infinito, ho bisogno di gente euforica e curiosa.
La scusa é sempre “dove dovete scendere?” e così dicendo loro che percorso devono fare, iniziano le domande classiche:
sei di Milano vero? (risata sarcastica, si sente lontano un miglio che sono terrona)
AHH bella Palermo!
Abiti qui? – (no, mi piace dare indicazioni a cazzo a chi è appena arrivato come me)
10 anni in Germania?? ma sei giovanissima! a quanti anni sei arrivata? (per fortuna sembro piú giovane di quello che sono)
Si vive bene a Berlino? gli stipendi sono sicuramente più alti che in Italia. (no guarda, quella è Monaco, è Düsseldorf, è Amburgo etc…qui c’è chi vive di sussidio perché a volte conviene cosí)
Ma cosa mangi in Germania?? (crepo di fame, il grasso che mi vedi tutto intorno é solo dovuto allo stress)
Non ti manca Palermo?
E questa è la domanda che più mi mette in crisi, perché capisco che dovrebbe macarmi, che è anche la risposta che ci si aspetta, però a me non manca. Devo chiudere gli occhi e cercare con i sensi cosa mi manca. Si, ecco, mi manca l’odore delle stigghiole lungo la circonvallazione; mi manca il sapore delle panelle e della milza; mi manca la vista del mare quando scendo con l’auto da via tiro a segno arrivando al Foro Italico; mi manca la musica delle cicale e mi mancano le palme.
Ecco mi mancano cose che solleticano i 5 sensi; se le palme, le stigghiole, le panelle e il mare fossero qui, non mi mancherebbe affatto Palermo.
Tiro su un lungo respiro e rispondo che no, non mi manca. Che sono stata fortunata a crescere li, che sicuramente la cittá mi ha dato tanto, peró oggi quel tanto non mi basterebbe, oggi Palermo sarebbe piccola, in un’ora l’attraverserei tutta da parte a parte fino ad arrivare a Cefalú.
E invece oggi in un’ora non riesco ad attraversare nemmeno mezza cittá, ma allo stesso tempo ne attraverso 4.
Otto fermate sono passate, saluto frettolosamente, a Schöneberg cambio treno, ho ancora due fermate da fare. Altri due quartieri da attraversare.
Tutti i miei occhiali
E dopo 9 anni ho accettato il fatto che alcune cose, per me da acquistare assolutamente in Italia, posso in realtà comprarle anche qui.
Per esempio le scarpe. Siamo sinceri, i tedeschi non usano solo sandali col calzino. Ci sono scarpe che vanno ben oltre questa bruttezza estetica. Se per le donne però ogni tanto si trova qualcosa di accettabile, per gli uomini è una valle di lacrime. Dato che negli ultimi tempi vado però in Italia solo una volta l’anno, e quell’unico volta devo pensare ai libri, ecco che mi vedo costretto a trovare non proprio disgustosi certi modelli di scarpe.
All’inizio era inaccettabile comprare i collant qui, li trovo di pessima qualità, oppure troppo cari. Poi hanno aperto due Calzedonia sotto casa e io ho risolto il problema.
Ma gli occhiali invece, quelli esclusivamente in Italia. Almeno fino un mese fa, era così.
I miei primi occhiali li eredità da mia cugina. Non ricordo se andassi ancora all’asilo, quando i medici mi imposero di andare in giro con una benda sull’occhio buono, in modo da sforzare l’occhio cattivo a vedere. A scuola ero libera di vedere col mio unico occhio, ma tornata a casa iniziava la tortura. Pensavo non potesse esistere tortura peggiore, ma mi sbagliavo. Ed ecco che entrano in gioco gli occhiali di mia cugina, una benda a coprire l’occhio buono e una lente rossa sull’occhio cattivo. Un incubo. Quel poco che vedevo, non solo lo, vedevo malissimo, ma in rosso. Mille sfumature di rosso.
Ricordo che un’estate eravamo a Ivrea, perché papà era in commissione d’esame alla maturità, e mamma un giorno mi porto a comprare un vestito credo alla standa. Io avevo sul naso quegli occhiali diabolici, e mamma mi comprò un vestitino che per me poteva essere benissimo bianco. Aveva un fiocco disegnato sul petto ed era smanicato. Una volta tolti gli occhiali e la banda scoprì che il vestito non era bianco, ma rosso 😦
I miei secondi occhiali li misi alle medie. Andavo al conservatorio , e ad un certo punto non riuscivo a distinguere un si dal sol, i pallini si spostavano di rigo facendomi sbagliare nota. O forse ero io che già non ne volevo più di musica. Questa occhiali erano abbastanza anonimi e li misi per poco tempo, me ne vergognavo e in fin dei conti l’occhio buono ancora era abbastanza buono. Tolti gli occhiali e lasciai la musica.
Il terzo paio di occhiali lo misi al liceo. Stranamente scelsi una montatura rossa. Da allora ho sempre avuto solo occhiali colorati e ho iniziato ad apprezzarli perché li trovavo allegri e divertenti.
Il paio di occhiali successivo mi ha accompagnato i primi anni dell’Università ed erano verdi.
Ma i miei preferiti in assoluto arrivano nel periodo della laurea, col mio colore preferito: rosa.
Con questi occhiali mi sono laureata, ho fatto le mie valigie (rosa) e mi sono trasferita a Lipsia. Attraverso i miei occhiali rosa ho visto per la prima volta Zito e mi sono innamorata.
Terminato il periodo, rosa, sono passata al viola, per due volte consecutive. Con l’ultimo paio è nato Ciccio.
Dopo un lungo periodo viola, ho deciso di tornare al rosa, perché il mio periodo rosa fu proprio bello, difficile, ma bello.
L’occhio buono, frequentando quello cattivo, sta prendendo una brutta strada e così, non potendo aspettare l’estate per poter comprare gli occhiali a Palermo, sono entrata da Fielmann e ho preso una montatura rosa. Non sono belli come quelli che avevo, ma siamo pur sempre in Germania e mi devo accontentare considerando di non avere una grossa cifra a disposizione da poter spendere. Se potessi, vorrei avere più occhiali da poter indossare in base al mio umore o al modo in cui sono vestita.
Conservo tutti i miei occhiali, perché come un album di fotografie, mi fanno ricordare ai momenti vissuti a determinati eventi e cose che ho vissuto e visto grazie a loro.
il vocabolario di Ciccio
Ciccio ormai parla un sacco. Penso in realtà non parli né tedesco, né italiano. La maggior parte delle parole credo sia arabo, o forse persiano, perché il suo amichetto del cuore è persiano. Io che credevo che di persiano ci fossero solo i gatti e i tappeti, e che la Persia fosse solo un luogo immaginario dove ambientare un videogioco avente come protagonista un principe, ho scoperto che quelli che noi chiamiamo iraniani, in realtà sono persiani, loro si definiscono tali, e qui a Berlino ce ne sono tanti, uno abita al terzo piano e un altro è amico di mio figlio. Quindi dicevo, Ciccio parla persiano, credo.
Il resto delle parole comprensibili sono quasi tutte in crucco.
La prima parola, e la sua preferita, rimane auto. Non dice “macchina”, ma proprio “auto” che se avete visto la pubblicità della Wolkswagen saprete che das Auto, è l’automobile, quindi la sua prima parola, che non è stata né mamma né papà, è una parola cruccca.
Ha presto imparato a dire Hallo (ci chiama così) e ciùùù, che sarebbe Tschüss. Di dire ciao non se ne parla proprio.
Sa dire i nomi delle maestre Gitta e Sciusci, che poi sarebbe Susi.
Tutti i bimbi sono pepè e questo sarà persiano perché non ho idea da dove l’abbia preso.
E poi dice sempre mehr, nel senso di ancora, ma che letteralmente significa “di più”. Mehr pasta, mehr musica, mehr cartoni, di tutto mehr, che fa molto spot RAI ma anche molto mamma di Albanese in “la fame e la sete”.
Due parole dice però in italiano: la prima è “tacci” che sta per pistacchi, e la seconda è “api” che sta per apri, ma con la quale intende anche dammi, monta il treno che ho appena distrutto, prendimi etc… insomma indica un ordine, ci comanda a bacchetta.
Sa benissimo chi è papà, ma ha ancora le idee confuse su mamma. Spesso sono anche io papà oppure Halloooooo.
Quando si fa male non dice ahi, ma “auha” come i bimbi crucchi.
Come dice Nein lui, non lo sa dire nessuno. Gli deve proprio piacere tanto questa parola. Nein nein neeeiiin.
Non mi dispiace le sue prime parole siano crucche , abbiamo scelto apposta di non mandarlo in un asilo bilingue italiano. La nostra lingua la sente sempre a casa e capisce tutto ciò che diciamo, prima o poi inizierà a dire qualcosa anche in italiano. Spero intanto per il suo bene impari presto a chiamarmi mamma che altrimenti si può scordare mehr auto, mehr tacci e mehr di tutto il resto.
Un inverno anomalo
È un inverno anomalo questo, fatto di temperature ben sopra lo zero, di piogge e di Felix. Quest’ultimo si diverte a mettere oggetti sui binari dell’abate al solo scopo di farmi ritardare e di scoperchiato il finto palazzo di Potsdamer Platz che forse prima di allora la gente pensava fosse realmente un palazzo e magari lo indicava dicendo “guarda li, deve essere stato progettato da Renzo Piano”. È un inverno in cui stranamente i tedeschi non riescono a disfarsi degli addobbi natalizi. In genere già il 2 gennaio non resta alcuna traccia delle feste, e invece quest’anno le luci alle finestre sono ancora lì, forse come unico segno che siamo in inverno, che se non ci fossero loro a ricordarcelo fasi intermittenti, ce ne scorderemo. Gli alberi giacciono già da tempo lungo i marciapiedi, ci se ne disfa sempre molto velocemente temendo possano rimanere altrimenti ancora un anno in casa, ritrovando poi il natale successivo solo il cadavere del natale precedente. Rimarranno lungo le strade in attesa che li vengano a raccogliere, ancora per poco. È un inverno in cui non sai se indossare guanti e cappello, che nel dubbio li porti con te per dimenticarli chissà dove. C’erano ancora a Schöneberg, ad Adlershof non li ho visti più. Spero abbiano proseguito verso l’aeroporto e si siano imbarcati per qualche capitale del nord, alla ricerca di temperature più adatte a loro. Spero li abbia trovati un senzatetto, di quelli che si addormentano lungo i sedili stringendo dentro un cappotto ormai logorato da tanto tempo da qualcun altro. Spero gli siano utili dovesse mai arrivare veramente freddo. Doveste mai incontrare un senzatetto a Berlino, con in testa un cappello nero con un pom pom in cima e dei guanti rosa alle mani, sappiate che sono stati un mio dono involontario. È un inverno triste e piovoso. Il rumore delle auto in corsa non è ovattato dalla neve soffice e per strada non si sentono le urla dei bimbi che giocano con la neve o che vengono trainati sullo slittino dai genitori. È un inverno più grigio dei soliti inverni, perché non ha il candore della neve. È un inverno noioso perché non sorprende la mattina con una spruzzata di neve fresca. Solo tanta pioggia sottile. Questo qui non è affatto inverno.
La terza, la quarta, la quinta e due soprese
E mentre voi eravate impegnati a spacchettare regali, ingozzarvi di piatti succolenti, e bere spumante, io ho continuato i miei viaggi in giro per il globo e soprattutto ho ricevuto ancora visite.
La terza a farmi visita é stata Valentina, dal Texas. Poi é stata la volta della mia adorata Alessia dal Quebec che ha portato con se un po’ di neve e freddo. Per fortuna ci ha pensato poi Sabina a portare un pochino di caldo californiano e poi..e poi sono arrivate due soprese, perché visite inaspettate, ma non per questo meno gradevoli, anzi.
L’altra metá di Mamme nel deserto mi aveva detto che in Kuwait non puó ricevere posta, cioé non vi é proprio la possibilitá di riceverne. Io ci ho messo giorni per capire sta cosa e ancora ho seri dubbi. Cioé a meno che nello stabile dove si vive ci sia una casella postale, la posta non arriva. Ma gli indirizzi esistono? bho? a me sta cosa mi ha sconvolto. Ha peró i suoi lati positivi, niente multe o brutte notizie. Quasi quasi mi trasferisco in Kuwait cosí il Finanzamt non mi trova piú.
Il fatto che Mimma non avrebbe potuto ricevere le nostre cartoline di auguri mi ha onestamente intristito. Ma lei ha aggirato in qualche modo l’ostacolo. Si é recata in Italia dalla sua famiglia e mi ha inviato una cartolina. Io sono sicura che sia andata in Italia durante le feste SOLO per questo, ma credo che lei non lo affermerá mai.
Quando Zito ha aperto la buca delle lettere e vedendo il timbro postale mi ha chiesto “ma chi ti scrive da Bari?”, io avevo giá capito. E sono stata strafelice che Mimma abbia lasciato il Kuwait solo per me 🙂
– sono sicura sia cosí, ma non chiedeteglielo, negherá.
La seconda sopresa inaspettata é stata Chiara da Londra.
Chiara ha risposto al mio post La prima cartolina chiedendomi di inviarle il mio indirizzo prima che partisse per le vacanze. Ed é stata una sopresa tripla: in primo luogo perché non conoscevo ancora il suo blog e la sua storia, poi perché é venuta a trovarmi e in terzo luogo perché si é decisa ad aprire un secondo blog in italiano che potró seguire con piú facilitá.
La sua visita é stata ovviamente da me ricambiata, come poter mancare la possibilitá di visitare ancora Londra? Vi ho mai detto che amo Londra alla follia???
Questo scambio di cartoline é ormai quasi terminato, e mi dispiace molto.
Ora che peró ho gli indirizzi credo che di tanto in tanto andró comunque in giro per il mondo a fare nuovamente visita a tutte queste straordinarie persone. Non aspetteró il prossimo Natale per farlo.
Almeno tramite la posta, quella vera, quella che ancora si scrive a mano, potró viaggiare ancora un poco con le parole e col pensiero. Mentre invece il mio enorme culo sará seduto davanti al pc della Luftwaffe