il suono delle parole

Certe parole sono belle non per ciò che significano, ma per il loro suono. Per tale motivo si preferisce fare la pipí al bagno piuttosto che al cesso, e si zoppica meno se si è claudicanti piuttosto che zoppi.

In base al suono si giudicano le parole francesi più eleganti e fini, quelle tedesche più dure e severe (del resto gli ordini ai cani si danno in tedesco, e loro terrorizzati da quell’idioma, pur di non sentirlo ripetere, eseguono), quelle spagnole più ilari.

La boutique offre molto di più di un banale negozio, il couffeur crea acconciature più belle di un banalissimo parrucchiere. Alla fine il significato non ha importanza, anche se il medesimo, l’importante è il suono che producono le parole.

Per questo motivo musicisti tedeschi non hano mai sfondato cantando nella propria lingua, già gli Scorpions cantavano nel piú commerciale inglese e oggi i Tokio Hotel hanno tradotto i loro testi per allagarsi al mercato internazionale.

Proprio per il suono delle parole, e di certo non per i testi di per sè, all’estero sfondano cantanti come Al Bano quando cantava con Romina e anche Toto Cotugno, i quali, per evitare di essere compresi e rischiare un fiasco, hanno pensato bene di mantenere i testi nella loro lingua originale.

Generazione Ipod

Amo la musica. Mi fa da colonna sonora nelle mie giornate. Ami il Jazz quando sono malinconica, il Rock quando sono incazzata e vorrei spaccare tutto, la musica leggere quando sono di buon umore per cantare a squarciagola.  Ma mi piace anche il ticchettio, quasi impercettibile, che i polpastrelli producono quando toccano la tastiera di un pianoforte. Mi piace sentire i rumori della strada, la pioggia che accarezza i vetri, le urla dei bambini che giocano per strada, la vocina simpatica del tram che mi avverte a che fermata scendere.  Quando faccio ritorno nella mia isola, la prima cosa che noto, non sono le palme, non il caldo, ma il suono delle voci. Le parole, nella mia lingua, assumo una connotazione e un’armonia diversa da quelle che odo qui ogni giorno.

Mi piacciono i rumori e mi piace catturarli e tenerli un po’ dentro la mia testolina, li lascio andare solo per catturarne di nuovi.

Da un po’ di tempo invece, non si ascolta più il mondo in cui viviamo. Ci infiliamo dei tappi nelle orecchie che ci isolano dalla realtà vera per fornircene una artificiale. Non si fanno più incontri interessanti sul tram o sul treno, ognuno é chiuso nel suo lettore mp3, impossibilitato a comunicare col mondo.

Il principio dell’ Ipod è: non voglio attaccare bottone con nessuno, me ne sto per i fatti miei, non rivolgetemi la parola.

Ognuno ha il suo mondo, io quello fatto di rumori e suoni di strada, altri quello fatto di Tokio Hotel sparati direttamente nell’orecchio.

Mi spiegate però perché gli Ipoddini si vogliono isolare, ma allo stesso tempo debbano condividere il loro mondo col resto dell’umanità alzando il volume al massimo?