Caro ministro 

Caro ministro Poletti,

Io lo so che sta alzando gli occhi in cielo per l’ennesima lettera che Le scrivono, ma in questo periodo non è solamente Babbo Natale a ricevere lettere, tocca anche Lei.

Io sono tra i tanti italiani che è andato all’estero. Non a caso non ho scritto “che ha lasciato l’Italia” perché in effetti non era questa mia priorità, volevo proprio andare in Germania e questo rende il punto di vista differente. Si, perché oltre ad esserci italiani che per necessità devono trasferirsi all’estero, ce ne sono tanti che vanno invece di propria iniziativa. Che sia solo per imparare una lingua, chi per un’esperienza e chi per arricchirsi culturalmente, in molti scelgono questa strada. Diversamente dai “cervelli un fuga” che vengono con un contratto di lavoro già firmato, noi ci dobbiamo rimboccare le maniche e partire non dal basso, ma dal sottoscala. E sa cosa? Non sempre è così terribile. Ogni gradino che saliamo per raggiungere almeno il pianterreno è una conquista, una conquista più grande che se fossimo in Italia perché lo facciamo in un contesto del tutto estraneo a noi e in una lingua non (ancora) nostra. Questo ci rende più forti e orgogliosi di noi stessi.

Andare a fare la spesa può essere un trauma perché non capiamo il nome dei prodotti, ma anche stimolante perché apprendiamo abitudini nuove e diverse dalle nostre e scopriamo cose nuove. Lei per esempio lo sapeva che la Cameo è tedesca? Ecco, venisse qui a fare la spesa scoprirebbe che i prodotti Cameo si chiamano Dr.Otker dal nome del creatore del lievito in polvere.

Quando a fatica si raggiunge un buon livello della lingua del posto, arriverà l’elettricista che ti parla in berlinese e tenendo una torcia tra i denti. E tu non capirai niente e ti verrà solo da ridere: una nuova sfida da affrontare, riuscire a capire non solo il tedesco ma anche il dialetto. È una sfida continua, ogni giorno qualcosa da imparare, ogni giorno mettersi alla prova. Io lo trovo stimolante. È sicuramente anche frustrante e ci sono giorni che vorrei solo incazzarmi in siciliano, ma siccome non è possibile, rimango ottimista e penso che sia stimolante.

Le giornate qui sono più corte e buie, a febbraio si rischia il suicidio, però in estate c’è luce fino alle 23 e tutta la città si gode le ore dopo il lavoro, un lunghissimo Feierabend nei Biergarten o nei laghi che questa città ci offre. Il clima non è dei migliori, è vero. Ma il mio è il punto di vista di una terrona, non credo che a Milano sia migliore.

Qui posso permettermi di avere una famiglia, anche senza l’aiuto di nonni, amici e parenti, cosa che mi sembra sia difficile in Italia.

Il lavoro, in ogni sua forma, viene retribuito con soldi, veri, e non con voucher.

È vero che non siamo i migliori ad essere andati via, ce ne sono alcuni qui che proprio non glieli raccomando, altri invece sono persone semplici e umili come me. Non siamo i migliori, non siamo geni, ma siamo persone con dei sogni da realizzare e da vivere. Non siamo in cerca solamente di un lavoro, ma di un contesto che ci faccia vivere meglio.

Perché in effetti posso affermare per quanto mi riguarda e con assoluta fermezza che qui è meglio e che non ho mai pensato di tornare in Italia. Certo il cibo nostro manca (non che siamo digiuni), ma per fortuna abbiamo la settimana italiana da Lidl e dei grossisti italiani che portano cose buone dall’Italia. Certo mi manca la ricotta di pecora. La verità.

Questo per dirLe, che non è vero quanto le ha scritto l’altra ragazza, quella di Amsterdam, almeno non sempre e non per tutti. Siamo così tanti e così diversi che è difficile fare un ritratto esaustivo dell’italiano all’estero.

Volesse venire qui, la invito volentieri. Dalle nostre parti si usa però bussare coi piedi quando si è invitati. Un vassoio di cannoli sarebbe molto gradito. La ricotta di pecora, mi raccomando.

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